Ogni volta che si parla d’invecchiamento, salta subito all’orecchio l’affermazione
“beh, è ovvio che non si può non invecchiare!” , quasi fosse “normale” invecchiare.
In realtà tale affermazione non è del tutto corretta, perché se è vero che, ad oggi
non esiste alcun elisir di giovinezza, è anche pur vero che “invecchiare”
corrisponde per definizione ad un decadimento delle capacità omeostatiche e
funzionali dei nostri organi in relazione al passare degli anni, che è invece
una caratteristica tipica delle patologie.
Il processo d’invecchiamento avviene molto lentamente nel corso delle decadi,
e questo “non notare” porta l’essere umano ad una situazione di staticità, a non
fare nulla, con tendenza a trascurarla.
La progressione, invece c’è, semplicemente non è così intensa da essere visibile,
palpabile, nella quotidianità, ma ha inesorabilmente il suo effetto.
Siccome l’uomo è portato a dedicare attenzione solo alle cose che sente,
percepisce, vede, questa tendenza invisibile all’interno del nostro corpo ci
tradisce perché ci porta a sottovalutare il problema.
Basta pensare a cosa succede agli astronauti quando entrano in orbita:
finché sono ancora ancorati alla gravità terrestre, essi hanno un certo equilibrio
in termini di massa muscolare e massa ossea, ma appena entrano in orbita
l’assenza di gravità fa sì che si perda moltissimo di questi tessuti, pari al
10% in 6 mesi : e perdere il 10% di massa ossea e muscolare, vuol dire
non reggersi in piedi se fossimo sulla terra.
Infatti per cercare di ridurre questa imponente perdita di massa ossea e
muscolare, quando gli astronauti sono in orbita, hanno il tassativo compito
di fare ogni giorno almeno 2h di attività fisica.
Quando poi rientrano sulla Terra ed escono dalla navicella, non scendono
mai con le proprie gambe, ma sono sorretti sempre da numerosi addetti che
li appoggiano su delle barelle e poi vengono inviati in speciali centri di
riabilitazione fisica per almeno 40gg.
Quello che un astronauta perde in 6 mesi nello spazio, in termini di massa
ossea e muscolare, noi lo perdiamo in 10aa sulla Terra tra i 50 e 60aa.
Quindi con il passare degli anni anche le nostre funzioni biologiche tendono
a decadere e man mano che si deteriorano aumenta la possibilità di sviluppare
patologie, a causa di una persistente condizione di infiammazione cronica
sistemica silente, subdola, che sintomatologicamente non da segno di se,
ma che inesorabilmente avanza senza sosta, e che è meglio conosciuta
come LOW GRADE CHRONIC INFLAMMATION (LGCI), responsabile di
molte malattie cronico-degenerative tipiche dell’età adulta-senile.
Per cui la senilità porta, già di per se, ad uno stato pro-infiammatorio di base,
definito INFLAMMAGING (infiammazione associata all’invecchiamento)
che costituisce un fattore di rischio altamente significativo sia per la morbilità
(capacità di ammalare) che per la mortalità (possibilità di morire).
La LGCI può essere amplificata e accelerata anche da molte sostanze con
cui veniamo in contatto quotidianamente attraverso pelle, polmoni, apparato
digerente, quali pesticidi ed erbicidi,abuso di farmaci o droghe,
additivi alimentari,solventi e metalli pesanti, rifiuti industriali,
fumo, alcol…; tutte queste situazioni portando ad una perdita dei
meccanismi protettivi della cellula, con un aumento dello stress ossidativo
cellulare, maggiore produzione di citokine pro-infiammatorie, e di
conseguenza un aumento incontrollato di cellule patologiche che possono
dare vita a tumori, Alzheimer, Demenza, Autoimmunità.
SI PUO’ DUNQUE FARE QUALCOSA?
La chiave per avere un successful aging, è sicuramente quella di tenere sotto
controllo la LGCI, non si può prescindere da questo aspetto.
Ci sono dei biomarker dell’inflammging, (OMEGA TEST, hs-PCR, dosaggio delle
interleukine pro-infiammatorie), che possono darci precise indicazioni sullo
stato attuale della nostra infiammazione e tali marcatori sono facilmente
rilevabili attraverso un semplice prelievo di sangue da ripetere almeno
2 volte l’anno.